Si mostra simile alla decorazione baroccamente cesellata di un prezioso monile. Ha l’aspetto dell’oro zecchino puro. Infatti il nome “volgare” la descrive con grande efficacia: verga d’oro. Quelli che ne sanno di botanica la chiamano solidago canadensis. L’etimo dell’aggettivo lo lascio alla perspicacia dei lettori. L’appellativo solidago deriva forse dalle presunte capacità medicinali della pianta. Qualcosa come “consolidare definitivamente”. O anche “guarigione completa”. Insomma, per dirla tutta, non si conosce con certezza l’origine del nome generico attribuito alla pianta di cui stiamo parlando dal botanicamente onnipresente Carl von Linné che gli italici mortali conoscono come Linneo.
Nei boschi della Penisola ne fioriscono tre varietà. L’infiorescenza di quella riprodotta nella foto appartiene a un’essenza di “gigantea”, il cui gambo è molto più sviluppato in altezza delle altre due, fotografata a Introbio, lungo i margini della pista ciclabile. La medicina popolare giura che la verga d’oro possiede proprietà astringenti, diuretiche, febbrifughe ed emostatiche. In alcune regioni dell’America settentrionale c’è chi si arrischia anche a metterne in tavola le radici. Però se ne incontrate qualche esemplare limitatevi ad ammirarne l’aurea trasparenza e la leggiadra merlettatura. Vi invito caldamente a non farne alcun uso. Potreste essere costretti a soggiornare molto a lungo e ripetutamente in bagno. O in ospedale.