Sembra un puntaspilli. O, meglio, una stella con striature fucsia intenso. Questa splendida infiorescenza appartiene a un’Astrantia major. L’esemplare nella foto è stato immortalato qualche settimana fa lungo la strada che conduce a Biandino, dopo il guado di Valbona. Si tratta di un’essenza vegetale, abbastanza diffusa dalle nostre parti fino ai 1500/1800 metri di quota (sugli Appennini meridionali cresce fino a 2300 metri). Un tempo i botanici la classificavano fra le ombrellifere, che oggi preferiscono definire “apiacee”, la stessa famiglia della carota e del cumino. L’origine del nome è latina e deriva dal termine aster, stella o astro a causa della disposizione assunta dalle brattee, le foglie che contengono il fiore vero e proprio.
Nell’antichità le radici essiccate di questa pianta erano usate come astringente; mentre gli infusi e i decotti come purganti e diuretici. Ma non sognatevi di preparare beveroni di Astrantia: potreste finire diritti in ospedale visto che radici, gambo e foglie contengono tannini in elevata quantità, sostanze che possiedono proprietà irritanti per l’apparato gastrico ed epatotossiche. Inoltre può essere facilmente confusa con la molto meno pericolosa angelica silvestris di cui parleremo forse in futuro.
P.s.: l’insetto che vedete posato sull’astantia non è una vespa ma una mosca: la Syritta pipiens, insetto impollinatore di molte specie vegetali oltre che efficiente bioindicatore per l’integrità ecologica dell’ambiente circostante.