Storia del Monastero di Cantello

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“Nelle somità, vi è fabbricato un bel Monastero de R. Matri del ordine di santo Agostino et prima era un hospitale, poscia ridotta in Monastero.” E ancora: “Il monastero é fabbricato nuovamente, con I suoi chiostri, orti, giardini et cisterne et altri suoi apartamenti, la dove il tutto è ben formato. Ha dato gran fama di santità questo luogo, una beata Guarisca della nobil casa de Arrigoni nelli anni passati, oltrecché sempre ha dato buon odore di se et bona fama di devotione, questo Monastero venerando a popoli circostanti, li quali hanno queste rev. Matri tutti in grandissima veneratione et questo per la loro vita e santità.”

Con questa ristrettissima sintesi, Paride Cattaneo della Torre, rampollo dei Torriani con qualche pretesa letteraria, ricostruì per primo, nel 1571, le vicende di una delle istituzioni caritative e religiose più importanti nella storia della Valsassina: l’ospizio – monastero femminile di Concenedo, un tempo Comune, oggi frazione di Barzio, le cui vicissitudini hanno attraversato, dal XV al XVIII secolo, quattrocento anni di storia, non solo locale.
Informazioni ben più corpose e interessanti si ricavano, però, da un altro testo molto più tardo opera del prete Carlo Bazzi, curato di Cremeno, dato alle stampe nel 1858: “Il Monastero del Cantello in Valsassina”.
Dalla narrazione di Bazzi emergono inevitabilmente motivi sprituali e valutazioni del tutto personali dell’autore, affiancate, però, anche a più sostanziali indicazioni su vita, costumi e tradizioni della gente di Valsassina all’epoca dei fatti descritti.

Il “libriciattolo”, così definito dall’autore nella prefazione prodotta in funzione di captatio benevolentiae, peraltro esplicitamente dichiarata dal Bazzi, è un singolare esempio di narrativa a sfondo religioso ed encomiastico nel cui corpo figurano tuttavia numerosi, e in buona parte documentabili, eventi storici che ruotano attorno alla figura di Guarisca Arrigoni, fondatrice, nel 1408, dell’istituzione caritativa del Cantello, nato come struttura di accoglienza e cura per pellegrini, bisognosi e indigenti e divenuto successivamente monastero femminile, sempre comunque attivo nell’ambito nella mission originaria di ricovero e assistenza in ambito sociale, sanitario in ambito non soltanto locale.

Sull’incipit del volume è opportuno sorvolare trattandosi di una generica descrizione della Valle nella quale si trovano “…traccie d’un turrito castello nido un tempo di ladri e prepotenti, chiamati col nome di feudetarii: là burroni imponenti e maestosi per la loro orridezza: costà fontane miracolose di limpide e gelide acque a cui si dissetò il grande Borromeo: quassù dirupate cave di ferro lasciate in abbandono per la grettezza dei governi: laggiù diseppellimenti di lapidi monumentali, di vasi antichi e di armi”.
Insomma, nulla che si distingua dalla produzione letteraria locale dell’epoca, se non si considera un preciso “omaggio” allo storico introbiese Giuseppe Arrigoni (che curò le note al testo) la cui “…penna ben più conosciuta e valente che non sia la mia già scrisse diffusamente delle bellezze e delle memorie di Valsassina in varii opµscoli e massime in un’istoria stampata in Milano dal Pirola…”. Citazione riferita, con ogni probabilità, al volume dell’Arrigoni intitolato “Documenti inediti risguardanti la storia della Valsàssina e delle terre limitrofe…” e stampato, sempre dal Pirola, l’anno precedente.

La narrazione che ci interessa ha inizio a pagina tre quando Bazzi spiega che sul colle del Cantello di Concenedo “Al principio del secolo decimoquinto non esisteva che una piccola chiesa dedicata all’Assunta…” accanto alla quale sorgeva “…una casupola di poche stanze a due piani di recente costruzione.” In quella piccola costruzione si era insediata, spiega Bazzi, una giovane donna il cui “nome battesimale era Guarisca, rampollo della agiata famiglia degli Arrigoni di Barsio…”.
L’inizio delle vicende della “beata” Guarisca e delle sue opere, appare immerso nelle nebbie “di un’incerta tradizione”. È noto, invece, che la pia donna non fu mai sottoposta a un processo formale di beatificazione anche se venne definita beata non solo dalla pietas dei valligiani ma anche in alcuni documenti dell’epoca.

Sul piano della correttezza storica va dato atto all’autore di non spacciare per certo l’incerto anche perché “…da quel tempo a noi passarono tanti anni che sarebbe temerità l’asserire come vero un fatto di cui non si hanno documenti in iscritto”. Stabilite tali premesse metodologiche, Bazzi aggiunge comunque di sospettare che Guarisca Arrigoni, nata nel 1382, “…terzogenita ed unica del suo sesso…” sia “salita al Cantello per penitenza” e non per originaria vocazione. In tal modo espiando una “fuga d’amore” a Milano, malfinita e provocata dalle “insoluccherate moine di uno zerbinotto” che fece della giovane bennata e timorata di dio, una “…peccatrice scandalosa e simili…” come la donna, ormai diventata monaca di clausura in S. Antonio, a Milano, si definisce nell’ultima stesura del suo testamento, affidato a “pubblico nodaro il 3 agosto 1436… “, 24 anni prima della sua morte.

La narrazione della fuga di Guarisca con l’amato nel corso della Festa dei Pini, il 25 agosto 1403, che tradizionalmente si teneva a Nava di Barzio e nella quale “si intrecciano danze e carole”; la scoperta della scomparsa della giovane; i dialoghi fra il padre, Beltramo, e la madre (alla quale Bazzi attribuisce il nome di Caterina); le vicende milanesi dei due fuggitivi e gli stati d’animo dei genitori contengono, ovviamente, numerose concessioni alla fantasia raccontate con penna non sublime ancorché non del tutto disprezzabile.

Guarisca, insomma, sedotta e abbandonata, tornò delusa e mortificata nella sua terra e “…orfana e divisa dai fratelli si ritirò sul Cantello…”.
Da questo momento la giovane donna produsse un’instancabile opera di carità accogliendo al Cantello, pellegrini, bisognosi, infermi, malati di ogni provenienza offrendo loro un tetto, cibo e assistenza senza nulla chiedere in cambio. In breve tempo l’ospitale divenne un punto di riferimento imprescindibile cui i valligiani ricorrevano in momenti difficili i quali all’epoca non mancavano certo visto che “…angarie e vessazioni dei tiranelli, che congiunti ai falliti raccolti ed alle pestilenze, facevano che il popolo medesimo vivesse giorni magri e travagliosi”.

A questo proposito occorre non dimenticare che la vita, non solo spiritualmente intensa, dell’istituto di accoglienza di Guarisca Arrigoni, si era snodata anche dopo la scomparsa della fondatrice, lungo un periodo plurisecolare agitato da epidemie, guerre di confine, eventi bellici che videro contrapposti il ducato di Milano e la Serenissima, carestie e scorrerie di soldataglie di ogni provenienza. Racconta infatti Bazzi che nel maggio del 1636, in piena Guerra dei trent’anni (1618 – 1648), quando gli echi della “grande pestilenza” non si erano ancora assopiti, si diffuse la notizia che “… il duca di Rohan passava con la sua soldatesca per mezzo della Valsassina, e che ovunque lasciava tracce orribili del suo passaggio, e depredamenti, ed uccisioni…”. Anche il Cantello, eletto nel frattempo a monastero ospitante 55 suore, ne subì le conseguenze poiché le truppe francesi, si abbandonarono a “…cento crudeltà e sacrilegi superiori a quelli commessi pochi anni prima dai Lanzichenecchi negli stessi paesi.”. E come riporta Bazzi citando un testo coevo ai fatti, “…spogliorno eziandio quelle infelici moniche che non erano colle altre fuggite (…) et alcuna appo la roba et anco insieme l’honore (come fu riferto) vi lasciò anche la vita.” In una nota di Giuseppe Arrigoni al testo, si spiega come il “… sacco dato dai Francesi alla Valle nel giugno 1636…” fosse confermato dal “…registro battesimale della parrocchia di Cremeno del secolo XVII…”.

Non trascorse molto tempo che all’ospizio della “santa”, così veniva ormai definita Guarisca dalla pietas popolare, incominciarono ad arrivare donazioni, lasciti, derrate alimentari ed altro. In tal modo l’ospizio potè essere allargato, furono costruite nuove stanze per trasformare il piccolo edificio in “…una specie di istituto formato da pie donne in istato nubile o di vedovanza, le quali a guisa di suore della carità vi stessero al pietoso servizio degli ammalati, poveri e pellegrini che venissero ad albergarvi…”.
Guarisca non intendeva fermarsi davanti alle inevitabili difficoltà: Chiese ed ottenne che il parroco di Cremeno scrivesse al Papa, Gregorio XII, perché sostenesse “…la caritatevole intrapresa con qualche singolar privilegio…” che consentisse, appunto, l’edificazione dell’ospizio con la protezione e l’aiuto di Roma.

E nel 1566 l’ospizio del Cantello, divenne a pieno titolo convento di clausura ad opera del Cardinale Carlo Borromeo. Così alle monache del Cantello “…per statuto furono date le regole di S. Agostino.” A quell’epoca la “beata” Guarisca Arrigoni, aveva abbandonato il mondo da quasi un secolo ma i segni delle sue fatiche civili e spirituali le sopravvissero fino al 1817 quando l’antica istituzione, formalmente abolita per decreto giuseppino nel 1784, offrì i suoi ultimi servigi di assistenza e ricovero durante l’epidemia di tifo petecchiale del 1817. Così, conclude la sua fatica Carlo Bazzi, “…nel secolo della più chiassosa filosofia (…) dei monumenti, e dell’archeologia, e della civilità, e del comodo vivere, cioé nell’anno 1819, si lasciava atterrare per misero guadagno un fabbricato che poteva onorare non che la Valsasssina, la Lombardia!”. Oggi, nei pressi dell’area sulla quale sorgeva l’edificio, è stata costruita la moderna Casa Paolo VI istituzione che, in perfetta coincidenza con l’antica funzione originaria del Cantello, offre accoglienza, raccoglimento e cibo a chi ne manifesta la necessità.

Il volume del parroco è concluso da due racconti, il primo dei quali riguarda un evento realmente accaduto nel dicembre del 1786 quando una valanga ostruì l’imbocco della miniera di ferro attiva nei pressi del lago di Sasso, imprigionando nelle viscere del monte tre minatori di Pasturo e Bajedo i cui corpi furono trovati solo tre settimane più tardi.
Nel secondo racconto si narra di un episodio legato alla leggenda della “cascia selvadega” di cui ancora si narra in Valsassina e in molte zone dell’intero Arco alpino.

Il testo digitalizzato di Carlo Bazzi sul monastero del Cantello è custodito nella collezione di libri rari dell’University of Illinois at Urbana – Champaign ed è consultabile o scaricabile al seguente indirizzo web: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=uiuc.6897126&view=1up&seq=7
Altre più specifiche informazioni sull’argomento si possono trovare qui:
https://www.breviarium.eu/2018/01/15/chiesa-donne-guarisca-arrigoni/3/
Copie cartacee del testo sono disponibili utilizzando un motore di ricerca e digitando il titolo dell’opera.

ELIO SPADA

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