Lasco, il conte bandito della rocca di Marmoro a Parlasco

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Marmoro è un pugnone di roccia nascosto dai boschi che si erge in linea retta sotto la chiesina bianca di Parlasco, il grazioso paesino alla pendici del sasso Mattolino. A ridosso della santella dedicata alla Madonna, sulla strada che dal borgo scende a Bellano, parte un sentiero erboso costeggiato da rovi che porta ai ruderi del castello del conte di Marmoro, tale Sigifredo Falsandri: buon signore di giorno e temibile bandito di notte.

La roccaforte fu documentata nel 1368 in una memoria delle rendite della chiesa di Primaluna. Paride Cattaneo Della Torre nel ‘500 ricorda che “pocho longi da Parlasco esisteva una roccha, detta la fortezza di Marmoro…”. In questo castello Antonio Balbiani colloca Sigifredo Falsandri, conte di Marmoro.

All’Unitre Valsassina il 30 Ottobre 2024 presso la sede della Comunità Montana, Renato Busi, nativo di Parlasco, stimato e amato amministratore del paese ricoprendo negli anni la carica di vicesindaco e con doppio mandato a sindaco, ha illustrato il libro da lui stampato alcuni anni fa : “Lasco, il bandito della Valsassina” che riproduce l’originale pubblicato nel 1871 dallo scrittore bellanese dell’800 Antonio Balbiani. Nel libro si parla della storia-leggenda della ‘caccia selvatica’ del Lasco, conte bandito, praticata con la sua masnada di scagnozzi nelle ore più buie dopo il tramonto accompagnata da mute ringhianti di cani feroci. La caccia consisteva in scorribande che terrorizzavano i valligiani con bevute, stupri, furti, rapine, omicidi…Esempio del peggio della prepotenza e dei soprusi dei nobili nei confronti del popolo violato nei diritti.

Lasco era un lupo sotto le spoglie dell’agnello, afferma Busi. Il romanzo era ambientato ai tempi dell’invasione spagnola, come i “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni di cui il Balbiani era un grande estimatore. Il ‘600 fu un arco temporale di prevaricazioni e ingiustizie perpetrate dai potenti contro la povera gente.
Lasco sarà stato anche il frutto della fantasia di Antonio Balbiani che, dopo aver rielaborato e forse plagiato il romanzo: “Lasco di Valsassina” di Amatore Mastalli di Cortenova, ha indubbiamente creato un artifizio narrativo convincente sulla tragica realtà vissuta dagli abitanti delle nostre valli e montagne, esposti ai voleri di personaggi come il dottor Tossico e frà Lasagna con una filza di rosari attaccati come ornamento al collo pronto a difendere il ‘buon signore’, e poi il Saltaferro segretario del Lasco, il Mangiavino, il Piumasecca…e Giroletta, il cantastorie, che trova la figlia del Lasco abbandonata dal padre lungo il Pioverna…

Legacci amorosi e punte di spada tra il Lasco e le streghe della Valsassina, Celestina la beata e Bissaga la strega maledetta di Tartavalle che pare, almeno in leggenda, abbia predetto e provocato la frana di Gero avvenuta nel 1762. Intrighi e trame oscure contro Rosalba che si concludono con il rapimento del figlio della dama di Bajedo proprio per mano del cugino Lasco…

La figlia dello scienziato Sigismondo Boldoni, a cui è dedicata una statua nel centro di Bellano, va in sposa al conte di Marmoro. Fu infelice per tutta la sua breve vita, bruscamente interrotta da un pugno del marito Lasco che la ritenne colpevole di non aver partorito un maschio, bensì una banale femmina…

Lasco era sulla bocca di tutti per la sua crudeltà e subdola violenza, eppure nessuno era in grado di fermarlo o sapeva dove si trovasse il suo rifugio. Il conte scelse proprio lo spuntone Marmoro di Parlasco, già attrezzato a rocca, per costruirvi il suo fortino inespugnabile e per nascondere un orribile misfatto: rapì un orafo e lo gettò nelle segrete perché fondesse l’oro sporco di sangue rubato in chiesa, nelle cascine, nelle case dopo aver ucciso bambini, donne, uomini e massacrato il loro bestiame…paradossi, eterni conflitti tra ricchezza ostentata, spregiudicatezza, e la fame dei poveri.

Antonio Balbiani, prosegue Renato Busi, inizia il racconto del Lasco 4 giorni dopo che la Madonna di Lezzeno ha lacrimato, precisamente il 10 agosto del 1688, quando due scagnozzi del conte ascoltano le parole del parroco di Margno convinto di fondare un santuario sul luogo del miracolo. Il prete supplica il Lasco di concedergli un’offerta di 7 mila scudi per costruire la chiesa. Il conte di Marmoro ascolta la supplica e concede la somma, ma quando il sacerdote giunge a Portone trova i Bravi che lo derubano non solo dei 7.000 scudi, ma anche degli 8.000 che già aveva !

Ma una sera, una folla popolana ubriaca di vendetta, individua il covo del Lasco e incendia il castello di Marmoro. Lasco s’avvede delle fiamme mentre scappa per raggiungere Margno: “…alla luce sinistra dell’incendio gli parve veder muoversi ombre gigantesche, che agitavano cento braccia nemiche…si morse la mani…poi, volto al cielo, che la notte andava seminando di stelle, gli volse un’ultima bestemmia…”. Fu qui, proprio nella casa del prete ingannato che Lasco, il temibile conte bandito muore. Il corpo non fu mai trovato. Il parroco lo seppellì in un luogo isolato e sicuro per evitare che il corpo fosse straziato. Nessuno ad oggi è riuscito a trovarlo, e la gente di Parlasco si aspetta ancora di vedere il losco figuro soprattutto nelle notti limpide sferzate da una falce di luna, o nel sottobosco tra le ombre dei ruderi del castello di Marmoro.

Nel 2007, ricorda Busi, è stato realizzato un ciclo di affreschi dipinti sulle case del borgo di Parlasco che raccontano le vicende del bandito Lasco in base al progetto: ”Parlarti, Parlasco per le arti”, ideato e organizzato dall’amministrazione comunale.
14 artisti, scelti con bando nazionale, hanno raffigurato dal 25 giugno al 7 luglio 2007 personaggi e situazioni descritti nell’omonimo romanzo e il 22 luglio è stato ufficialmente inaugurato il “Borgo Dipinto” di Parlasco che costituisce un atelier all’aria aperta.

La tecnica dell’affresco è laboriosa e richiede tempo e pazienza. Gli artisti sono stati ospitati dai cittadini di Parlasco e tutti hanno lavorato con impegno e gelosa pennellata. Il cantiere era aperto al pubblico. E come tutte le cose belle gli affreschi necessitano periodicamente di scrupolosa manutenzione.
“Ma non c’è un bambino o un adulto che a Parlasco ha osato o osa sfregiare i dipinti sulle case, le stalle, le cascine, che hanno fatto diventare il paese una grande opera d’arte” sostiene con grande passionale convinzione, e forse anche con un po’ di commozione, Renato Busi.

Nel 2012 Parlasco ha festeggiato i 5 anni dall’inaugurazione del borgo affrescato con gli altri Comuni coinvolti nelle scorribande del Lasco citati nel libro: Taceno, Margno, Casargo, Vendrogno, Vestreno, Bellano, Cortenova, Primaluna, Introbio, Pasturo, Esino Lario. La scuola Alberghiera di Casargo ha realizzato manicaretti straordinari per tutti i gusti. Danze in costume e tantissimi giochi sul dosso di Marmoro, ma a sera dame e cavalieri si sono chiesti: dopo la festa nel castello del conte, arriverà il Lasco? Non c’è stata risposta. Così, quatti quatti gli invitati se ne sono andati alla chetichella…
Sarà la suggestione, sarà il timore di incontrare qualcosa senza sapere cosa che, in punta di piedi, mi avventuro nel bosco di Marmoro alla ricerca dei ruderi del castello del Lasco.

Un pizzico di paura rende il luogo ancora più sinistro. Ma tra le frasche folte ecco comparire il muro perimetrale della fortezza in sasso a secco, muschioso, dominante che circonda tutto lo spuntone. Da una parte c’è lo strapiombo da cui si vede la Val Muggiasca, e poi Cortenova. In mezzo al cerchio oggi c’è uno spiazzo d’erba contornato dal bosco, all’epoca probabilmente sostavano i Bravi e il Lasco a cavallo coi cappellacci piumati entrando da Parlasco. Il sole entra ed esce come una lamina di coltello che luccica tra il groviglio della vegetazione, gioca col mio sguardo…mi sento osservata…guardo verso il muro della fortificazione e vedo un’ombra fugace, nera, gobba, col cappuccio…sarà suggestione, ma scappo a gambe lavate. Credo di aver visto e filmato qualcosa di strano…forse è proprio nel video, in alto, oltre il muro, sulla destra…corro. Finalmente esco dalla selva e vedo un puntino di lago nella luce.

MARIA FRANCESCA MAGNI

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