Il 20 novembre 2024 all’Unitre Valsassina, presso la sede della Comunità Montana, Paolo D’Anna nella sua veste di regista teatrale ha presentato uno spettacolo su Caravaggio, il genio ribelle, guidando lo sguardo del pubblico presente nel fascio di luce che bagna i soggetti-oggetti e rompe lo spazio buio della scena, il grande protagonista sulle tele del pittore. “Vi parlerò del mio Caravaggio” dice D’Anna “tante sono le biografie, molte le interpretazioni sulla vita e sulle opere di questo augusto e inusuale artista. In base alla sensibilità di ognuno ne esce un profilo sempre interessante, perché ogni sfumatura raccoglie la complessità dell’esistenza di Caravaggio come uomo e come pittore”.
Michelangelo Merisi nacque a Milano il 29 settembre 1571 e venne battezzato nella parrocchia di Santo Stefano Maggiore come risulta nell’atto di battesimo datato 30 settembre 1571. Lo pseudonimo Caravaggio forse dipese dal fatto che si credeva fosse nato nel marchesato di Caravaggio in quanto i genitori erano nativi di Caravaggio. Il padre era un capomastro al soldo dei Caravaggio, probabilmente i suoi Signori lo inviarono a Milano dove avevano possedimenti e lì si trasferì con la famiglia, lavorando anche per la chiesa milanese. Un’altra versione ritiene che Caravaggio cambiò il nome per non essere associato a Michelangelo Buonarroti.
Paolo D’Anna anticipa la presentazione spiegando che la tecnica pittorica di Caravaggio è la realizzazione della prospettiva e della tridimensionalità dei personaggi attraverso la drammaticità teatrale della dimensione umana con la tecnica del chiaroscuro. L’uso scenografico del cono di luce che arriva dalla penombra o dal buio fa risaltare le emozioni e la fisicità degli uomini e delle donne ritratte.
All’età di 11 anni Caravaggio iniziò a lavorare nella bottega del pittore milanese Simone Peterzano, un manierista. Dopo 4 anni lasciò la Lombardia, probabilmente fuggi per sottrarsi a vendette dovute al suo brutto carattere rissoso…E’ curioso che in Lombardia, al momento, non si enumerano opere di Caravaggio. Il pittore si trasferì a Roma, girovagando nei vicoli più malfamati della città, e nel 1596 si stabilizzò nella città eterna andando a bottega del pittore siciliano Lorenzo Carli. Già da adolescente manifestava un atteggiamento sfrontato e irriverente, aggressivo, sempre con un fiasco di vino in mano e nella cinghia un coltello, era d’animo furioso.
Frequentava bische clandestine, bettole di ubriaconi, tagliagole e prostitute, tante, giovani e vecchie…oltre ai ragazzacci maliziosi e lascivi cresciuti dalla strada che vivevano alla mercè della strada…Questo era il regno da cui attingeva i modelli che immortalava sulle sue tele nell’istante di subire o di compiere qualcosa. La sua arte è una pittura della realtà, che coglie l’attimo come la fotografia, e fissa le smorfie, il dolore e la tragedia umana catturandone il momento della manifestazione come ‘Il ragazzo morso dal ramarro’.
Si può sostenere che Caravaggio prefigurò la fotografia nel 1600, perfezionata poi nel 1800.
Quindi, prosegue Paolo D’Anna, Caravaggio sovverte i principi della pittura del suo tempo: la realtà non è più qualcosa del ‘sempre bello a tutti i costi’, ma è ciò che si vede e deve essere rappresentato così come è. Avvalora questa convinzione il fatto che il pittore lavorava dal vero senza disegni preparatori. Codesta visione della pittura non venne compresa nel suo tempo, solo 300 anni dopo la sua morte si riconobbe la modernità e la grandezza di Caravaggio, esattamente nel 1900, il secolo delle 2 guerre mondiali…L’amore lento per questo artista è dovuto al nostro stupore, alla nostra incredulità davanti ai suoi quadri che riflettono le emozioni che proviamo e che si avvicinano alle nostre paure come San Tommaso, il dipinto ‘Incredulità di San Tommaso’ ha un taglio cinematografico-teatrale forte: Cristo prende il dito di San Tommaso e lo infila dentro il suo costato…è un’immagine brutale, che suscita un palpito di più…
Fu lo storico Roberto Longhi ad estrarre Caravaggio dall’oscurità del tempo per porlo sull’altare della luce. Longhi tenne numerose conferenze su Caravaggio e in quella di Bologna venne ascoltato da Pier Paolo Pasolini, esordiente intellettuale a caccia di verità. Sia Caravaggio che Pasolini vennero morsi dalla vita, entrambi cantautori di bellezza e deperimento, dissolutezza, sregolatezza, accomunati da un destino funesto: uno uccise, l’altro fu ucciso.
Una delle peculiarità delle sue opere sono gli occhi, sempre rotondi, grandi, bruni, proprio come quelli del pittore, che si vedono sulle facce fresche o grinzose, paffute o scavate dei santi e delle madonne rappresentate. A volte è lo stesso Caravaggio che si dipinge in un angolo, o in un riflesso di luce sul quadro, come se volesse spiare chi avrebbe guardato la sua opera…
E questo inquietante particolare mi ricorda un libro, ai più sconosciuto, che lessi parecchi anni fa e che riguarda la storia di un gatto randagio con un orecchio mozzo che viveva sui tetti di un villaggio del Nord…tante le peripezie che portarono il gatto a incontrare il bambino di cui divenne l’amico della vita, ma come i cattivi camminano al fianco dei buoni, gli uomini coi grandi occhi dall’anima nera spiano ovunque per arrivare a carpirti il pensiero, persino attraverso un miscuglio di oli colorati su una crosta buia. Fu così che il gatto si accorse dei numerosi globuli oculari che scorrevano nei fiumi, pendevano come grappoli dagli alberi, e correvano tra una stella e l’altra…grandi, rotondi, scuri. Lo schizzo del disegno su quel libro, in bianco e nero, per me fu impressionante…è così che vedo gli occhi nei dipinti di Caravaggio.
Le nature morte del Caravaggio, dice D’Anna , esprimono la vita effimera e la morte imminente di ogni essere. Le cose del mondo, apparentemente belle, sfuggono nell’ombra, si nascondono, si afflosciano, ben visibili nei quadri come ‘Ragazzo che monda un frutto’, ‘Fanciullo con canestro di frutta’, ‘Bacchino malato’…
Caravaggio ebbe come protettore il Cardinale Francesco Maria Del Monte presentatogli da Mario Minniti, il ‘ragazzo-modello’ dei suoi dipinti. Del Monte, incantato dalla pittura rivoluzionaria di Caravaggio, ampiamente discussa e snobbata nei circoli culturali, acquisto’ il quadro ‘I Bari’ e diede un tetto al pittore: Palazzo Madama, oggi sede del Senato della Repubblica.
Questa conoscenza, racconta Paolo D’Anna, permise al pittore di realizzare opere complesse come ‘Riposo durante la fuga in Egitto’ e di raggiungere la popolarità tra la nobiltà romana. Nel 1599 gli furono commissionate 2 tele enormi da collocare all’interno della cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma che riproducessero la vita, la vocazione e il martirio di San Matteo. Per la basilica di Santa Maria del Popolo: ‘La crocefissione di San Pietro e la conversione di San Paolo’ e Francesco Contarelli, figlio illegittimo del cardinale Matteo Contarelli, gli commissionò una terza tela per San Luigi dei Francesi ‘San Matteo e l’angelo’. Caravaggio, nonostante le proposte provenissero da illustri potenti, dalla gente che conta noi diremmo, continuò a raffigurare rozzi popolani nella loro autentica drammatica miseria quotidiana spirituale e materiale.
Anche il marchese Vincenzo Giustiniani fu protettore del Caravaggio, collezionò moltissime delle sue opere, e spesso gli evitò le patrie galere.
‘Morte della Vergine’ fu rifiutata dai Carmelitani Scalzi perché blasfema, priva di pudore: Maria è rappresentata col ventre e i piedi gonfi…In realtà la donna dipinta era una giovane donna morta a seguito del parto…recuperata dal fondo del Tevere. In essa il pittore vedeva la Vergine, donna tra le donne. Adesso, dopo vari spostamenti, si trova al museo del Louvre.
Nella ‘Maddalena penitente’ Maddalena è una giovane donna attraente, vestita di merletto, probabilmente una prostituta, che si addormenta su una sedia tra le collane e i belletti…l’unico segno che ravvisa il pentimento e la lacrima sul ciglio dell’occhio, quasi invisibile.
Paolo D’Anna parla di Beatrice Cenci e della sua decapitazione a seguito dell’uccisione del padre per averla abusata. Presente quel giorno a Castel Sant’Angelo tra la folla c’era Caravaggio che inveì contro il papa inquisitore.
In seguito Caravaggio bastonò un notaio frequentatore dei bassifondi e arrivò ad uccidere, forse per soldi, prostitute, o trame politiche, l’amante di una prostituta: certo Tommasoni. A questo punto fuggì prima a Napoli, poi a Malta: ma anche lì offese un cavaliere che lo perseguitò fino alla morte, giunse in Sicilia dove dipinse ‘Il seppellimento di Santa Lucia’, ‘Adorazione dei pastori’, ‘Resurrezione di Lazzaro’…ma l’opera più maestosa fu ‘La natività’ che, purtroppo, pare sia stata rubata dalla mafia per ricattare lo Stato al fine di eliminare il carcere duro previsto per i mafiosi. Sembra che un affiliato abbia dichiarato di non cercarla più perché la tela sarebbe stata distrutta dai maiali e dai polli… L’FBI insegue tutt’ora questo quadro in tutto il mondo, continua a cercare senza sosta, con la speranza di ritrovarlo. Persino Sciascia immagina che il dipinto, forse il più delicato del verismo di Caravaggio sia in una stazioncina di un paese sperduto della Sicilia. Una copia è esposta nell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo.
Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, muore a Porto Ercole il 18 Luglio 1610 forse per malaria, o per ferite inferte, divorato dalla sua stessa vita.
Paolo d’Anna conclude pensando al pittore accompagnato nel suo ultimo viaggio da una processione come quella del Venerdì Santo, con appresso gli indegni: prostitute, ragazzi di vita, malfattori, beoni…i veri tesori della sua grande arte.