La storia della Fotografia all’Unitre Valsassina

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Un lampo in un click all’Unitre Valsassina con Elio Spada e Giovanni Lococciolo: quattro chiacchiere sulla fotografia

All’Unitre Valsassina in Comunità Montana, il 26 febbraio 2025 lo studioso Elio Spada, appassionato di fotografia, ha esposto con ricercatezza la storia della fotografia. Giovanni Lococciolo, Presidente del Circolo fotografico ‘Libero Pensiero’ ha spiegato il colore in un pixel della macchina fotografica digitale.
Fotografare è un po’ come poetare. La fotografia, teorizzava Leopardi, ci permette di vedere aldilà di ciò che i nostri occhi vedono, perché l’immagine sul mondo custodita nel lampo di un click stimola la “doppia vista”, come di una facoltà della pupilla e parallelamente dell’anima.

La poesia crea mondi, una lingua causale e non causale, non descrive. Al pari del fotografo il poeta legge i colori e le forme che poi traduce con le parole dalla sua prospettiva, il fotografo immortala la sua prospettiva senza parole facendo parlare l’immagine.
La lente o lo zoom ci permettono di ingigantire o rimpicciolire una visione, un angolo di vita in un micro o macro cosmo che ci conduce a una dimensione dove le immagini non sono solo una superficie riflettente, ma una rappresentazione del vero e dell’indistinguibile non vero. Un gioco di specchi, riflessioni multiple, centomila sguardi sul mondo…che interpretano, inquadrano, cadono su un dettaglio, offrono uno scorcio.
La fotografia nasce ufficialmente il 19 agosto 1838 con l’invenzione del “dagherrotipo”, il primo procedimento per lo sviluppo delle immagini di Louis Daguerre presentato presso la Società delle Scienze e delle Arti di Parigi chiamato in seguito ‘macchina fotografica’.

La prima fotografia però venne scattata il 9 febbraio 1826 (forse 1827) dal pioniere Joseph Nicéphore Niépce, nella sua casa-laboratorio a Saint-Loup-de-Varennes divenuta un museo nel 2007, su una lastra di stagno di 20×25 cm servendosi di una rudimentale ‘camera oscura’, cioè una scatola con un piccolissimo foro sulla parte anteriore che permetteva alla luce di entrare nella scatola e formare un’immagine invertita sul retro dove era posizionata la lastra ricoperta di uno strato di bitume di Giudea, una sostanza che diventa insolubile quando esposta alla luce. La scatola venne poi esposta alla luce sul davanzale della finestra della sua casa per almeno 8ore con lo scopo di catturare l’immagine. Durante l’esposizione la luce che passava attraverso il foro creava una figura sulla lastra. Dopo l’esposizione Niépce utilizzò un solvente per rimuovere le parti non esposte alla luce lasciando solo l’immagine sullo strato fotosensibile, poi ha sparso dell’olio di lavanda per fissare e proteggere l’immagine. Nacque così la prima fotografia della storia titolata: “Point de vue du Gras” Vista dalla finestra a Le Gras, inserita dalla rivista Life nel 2003 fra le ‘100 fotografie che hanno cambiato il mondo’.

Successivamente una piastra di rame argentata rimovibile sostituì la lastra di stagno. Ma la stampa su lastre con trattamenti di iodio e mercurio fu riconosciuta pericolosa per la salute, quindi si studiò una nuova stampa. Nel 1840, William Henry Fox Talbot, fotografo inglese, introdusse la “calotipia”, ossia l’uso della carta al posto delle lastre che però non permetteva copie. Nel 1851 Frederick Scott Archer sviluppò un processo denominato “collodio umido” che consentiva di produrre un negativo per poter essere riprodotto in numero indefinito. Nel 1871 vennero introdotte le “lastre in gelatina secca” al posto del collodio umido per l’economicità e la facilità dell’uso. Nel 1875 tali lastre vennero prodotte in quantità industriale e la fotografia divenne accessibile a tutti.

Alla fine del 1800 le lastre vennero abbandonate con l’avvento delle fotocamere a rullino, un’evoluzione storica capitanata da George Eastman che fondò l’impresa Kodak con la prima macchina fotografica del 1884 nota come “Kodak n. 1” che conteneva 100 fogli fotografici arrotolati. Un altro contributo all’evoluzione fu l’incapsulamento dei rullini che permetteva ai fotografi di cambiare il rullino ovunque si trovassero. Nel 1975 Russell A-Kirsch, ingegnere americano, progettò il primo scanner digitale, la base della fotografia digitale, e Steve Sasson realizzò il prototipo delle macchine fotografiche digitali, ma fu la società Sony nel 1981 che presentò la prima macchina fotografica digitale. La società Dycam nel 1991 presentò una macchina fotografica in grado di trasferire le foto sul computer.
Da questo momento in poi chiunque ebbe la possibilità di scattare foto e condividerle in pochissimi secondi col mondo intero.

La tecnologia della fotografia moderna accorcia sì le distanze fra gli uomini, ma in questa folla di immagini di tanti, di tutti, che vogliono comunicare qualcosa senza vedere o sentire la presenza dell’altro, sarà possibile parlare con un tu?
Comunque la camera oscura di fatto è il risultato di numerose scoperte già nel tempo più antico. Euclide e Aristotele studiarono la proiezione delle immagini attraverso piccoli fori per osservare un’eclissi solare. Leonardo da Vinci nel XV secolo disegnò la camera oscura nel suo Codice Atlantico e ne descrisse il potenziale per proiettare le immagini. Giovanni Battista della Porta e Johann Zahn la resero adatta per gli esperimenti scientifici.
Giovanni Lococciolo ha esordito dicendo che parlare di fotografia e’ difficile e affascinante.
Con un lampo in un click immortaliamo una data nella storia e vi collochiamo un paesaggio, un bimbo, l’orrore della guerra e una motosega che taglia l’aria…

Siamo passati dall’analogico al digitale dove la luce è la protagonista assoluta della ‘risoluzione’ della foto, cioè della qualità visiva. La risoluzione della fotografia digitale indica la densità degli elementi semplici come i pixel, ma dipende anche dalla fotocamera e dal suo sensore, oltre che dal supporto in cui la foto viene vista. Pixel è composto da: “pic ture el ement” perché si riferisce ad un elemento dell’immagine, qualsiasi fotografia digitale è costituita da un insieme di pixel, piccoli tondini o quadratini numerati e corrispondenti a un colore, disposti all’interno di una griglia bidimensionale, come si opera nella grafica puntinista. 16milioni di pixel possono essere combinati fra loro per creare immagini molto dettagliate: più è elevato il numero di pixel più la figura fotografata assomiglia all’originale però…E’ necessario sapere che ciascun pixel riesce a memorizzare anche le informazioni sul colore dell’immagine, solitamente attraverso 3 componenti noti RGB: rosso, verde e blu oppure 4 CMYK: ciano, magenta, giallo, nero. I colori vengono salvati come bit, e la quantità di bit impiegata viene definita come la profondità di colore della rappresentazione del colore stesso. Cosicchè la risoluzione di una foto può essere truccata, con un processo chiamato dithering che fissa più punti in un singolo pixel. Le moderne stampanti usano il dithering per creare immagini di molti colori rispetto a quelli di cui sono dotate perché ciascun pixel è formato da uno schema di punti ancora più piccolo. Così più si cerca di ingrandire l’immagine maggiormente si sfuocherà.

Quando si acquista una macchina fotografica è bene valutare il rapporto tra fotocamera e le dimensioni di stampa, oltre alle dimensioni dei pixel. Un pixel più grande riuscirà a raccogliere più luce, dunque ad avere un segnale più luminoso per un certo intervallo di tempo, in quanto ogni pixel riesce a contenere più fotoni prima che possa diventare tutto bianco.
“…la poesia ha il compito di dispiegare il visibile, l’immagine in tutte le sue declinazioni, alla luce della parola. Avvicinandosi al respiro delle cose la poesia si accosta alla visione della fotografia: …lo sguardo e il visibile, la singolarità irripetibile del vivente e il caso, l’istante e il fuggitivo che ritornano e si riformulano intorno a quella vita particolare del soggetto e del mondo che sta nella fotografia” prefazione di Antonio Prete al saggio di Yves Bonnefoy su poesia e fotografia pubblicato nel 2015 dall’editore milanese ObarraO.

MARIA FRANCESCA MAGNI

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