Paolo d’Anna e i racconti della polenta all’Unitre-Valsassina

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Giovedì 19 settembre 2019, presso la sede della Comunità Montana a Barzio, lo scrittore Paolo d’Anna ha presentato il suo libro: “I racconti della polenta” con i ringraziamenti del Presidente Enrico Baroncelli che ha ricordato il ricco programma dell’Unitre-Valsassina a.a. 2024-2025 pubblicato sul sito dell’Università.
“La polenta non è la somma aritmetica di due ingredienti ma un rito sacro” è la frase di Ermanno Olmi che si legge sulla copertina e, chi ha visto il film “L’albero degli zoccoli”, ne comprende bene il senso.

Lo scrittore è soprattutto regista di teatro e i suoi libri sono legati al lavoro teatrale che svolge da sempre. Ha esibito le sue opere in tanti palcoscenici d’Italia, da Taormina a Piacenza, nella chiesa senza tetto di San Michele a Galbiate, in chioschi, sale consiliari, magnifici teatri. D’Anna ha messo in scena opere sui grandi personaggi che hanno graffiato la letteratura e la pittura del patrimonio culturale italiano come Pasolini e Caravaggio. E una sera, in casa del suo medico di condotta, comodamente seduto con un grappino in mano, l’amico dottore gli suggerì di scrivere un libro sulla polenta “perché dietro alla polenta c’è un mondo incredibile” gli disse. Infatti la polenta è un alimento presente in tutto il percorso umano sulla terra.

Nel libro, Paolo d’Anna menziona una ricetta per ogni regione, soffermandosi in Lombardia dove la polenta divenne una fonte indispensabile per sopravvivere. All’epoca della diffusione della polenta sulla mensa dei poveri in Lombardia, al Sud esisteva già la cosiddetta dieta mediterranea.
In Lombardia, negli anni venti e trenta del ‘900, la gente pativa la fame. Molti lombardi partirono con le valigie di cartone per le Americhe in cerca di fortuna e di migliori condizioni di vita. Fu così per tanti abitanti della provincia di Lecco che emigrarono in Francia e in Belgio per lavorare nelle miniere e molti altri, per disperazione, scelsero di fare gli spalloni su e giù per le montagne di confine con la Svizzera.

Ho una testimonianza diretta di quel periodo di chi non c’è più. Era il 1926, Lecco…lo chiamavano Pier francés perché nacque in Francia. Era terzo di cinque figli, i primi due fratelli erano già nati in Italia all’epoca della partenza. La sua famiglia era emigrata nei pressi di Parigi, nello specifico a Brou Sur Chantereine, per trovare lavoro. Suo padre era un bravo carpentiere molto apprezzato, ma all’età di 35 anni si ammalò di polmonite e morì. Pier, la mamma e i suoi fratelli tornarono in Italia. Il nonno li accolse facendo trovare loro sulla sua povera tavola una pietanza gialla, tonda e molle: la polenta. Pier pensava che quella cosa gialla fosse un dolce o una baguette dalla forma e colore strani, ne addentò un bel pezzo e rimase deluso. Tuttavia Pier continuò a mangiare la polenta perché non c’era altro. Diversi anni fa mi raccontò che la mamma gli dava una fetta di polenta tutti i giorni con qualche ciliegia selvatica o un pugnetto di zucchero per pranzo a scuola. Veniva deriso, non parlava italiano…Non aveva le scarpe, solo gli zoccoli, una corda per cintura, e quella polenta che gli permetteva di riempire lo stomaco…

Paolo D’Anna seguita a raccontare che i cereali del posto venivano macinati e impastati con l’acqua bollente, in ogni dove e in ogni tempo. In base alle tracce lasciate tra i cocci anche gli antichi sumeri erano mangiatori di polenta, certo non di formentone. Ai romani sui triclini piaceva molto se accompagnata a succulenti carni e sughi. Plinio il vecchio nel suo “Naturalis Historia” descrive la polenta romana come un piatto a base di orzo, miglio, semi di lino e coriandolo. Per i romani poveri e ai soldati bastava doveva bastare la polenta senza companatico.

Il termine “turco” secondo l’interpretazione popolare significa straniero, lontano, ecco perché il mais di provenienza dall’America del Sud viene chiamato in Italia granoturco. La polenta può essere di farro, di orzo, di segale, mista…ma la più caratteristica è la polenta di mais. Il mais venne portato in Italia da Cristoforo Colombo quando, dopo aver toccato il suolo di San Salvador nel 1492, tornò in Europa.
Letterati famosi hanno dedicato alla polenta sonetti, rime, prose…Carlo Porta era un ghiottone di polenta mangiata coi tordi che “…con lardosa maestà sedean sopra la polenta come turchi sul sofà…”

Arrigo Boito nella sua “Arte di menar bene la polenta”: “…la canta, la ronfia, la subia, la fuma…de qua la se s-gonfia de là la se ingruma. El fogo consuma col vivo calor le brombole in s-ciuma la s-ciuma in vapor…”
Alessandro Manzoni descrive la polenta di Tonio, e la servetta di casa spiega a sua madre come si deve fare la polenta dei signori, ricetta spifferatale dalla serva di casa Bonanomi con ricchi ingredienti come latte, zucchero, cannella e chiodi di garofano…
Goldoni usava la polenta per sfamare e zittire Arlecchino sempre affamato…
Veronelli, il famoso filosofo dell’arte culinaria sostiene che della polenta non si butta via niente, ma attenzione, precisa, la vera polenta è la ‘bergamasca’ di grano grosso cotta in un paiolo a fondo sferico e tagliata col filo…
I Partigiani durante la seconda guerra mondiale inventarono la polenta ciucca, nell’impasto inserivano il vino e tutto quello che avevano a disposizione per placare la fame. Oggi questa polenta la si può trovare tra Piemonte e Valle d’Aosta.

D’Anna ricorda che i mangiatori di polenta, prevalentemente i contadini lombardi, si ammalavano di pellagra perché il cibo, invariato, è povero di proteine. Questo male purtroppo infierisce sul sistema nervoso delle persone e in quegli anni furono tanti i contadini che persero la ragione. Lo scrittore cita la storia dell’anarchico Sante Caserio, ultimo di 7 fratelli, figlio della pellagra inventata dalla miseria. Vide il padre morire di pellagra. A 10 anni andò a Milano nella bottega di un fornaio e per la prima volta annusò il profumo del pane. Imparò a leggere e scrivere e vide la fame degli altri sotto l’indifferenza dei Governi. Si buttò nell’anarchia e assassinò il Presidente della Repubblica francese per vendicare la morte di un suo compagno anarchico. Fu ghigliottinato all’età di 20 anni.

“Se mangi troppo deludi la Patria” era lo slogan al tempo di guerra…fortuna che c’è la polenta, sussurrava la povera gente…La fame è un mostro terribile che divora la testa e il corpo.
Paolo d’Anna conclude la narrazione raccontando il suo vissuto. Dalla Sicilia ancora bambino è emigrato in Lombardia negli anni sessanta con mamma, papà e 2 fratelli. “Eravamo poverissimi. Vedo ancora mio padre mangiare la carne per la prima volta: era incredulo, stupito, venerava quella pietanza, masticava a lungo, lasciava il piatto senza un rigo…”.
Lo scrittore legge infine la filastrocca della polenta ballerina: “…che un giorno se ne andò…e finì nella terra dei somari…si presentò in tutù giallo…ma si udì dalla platea un asino ragliare: torna nel pentolone perché sei solo una polenta…così fu che la polenta si accettò per quello che era…grossa, gialla, tonda…e tornò nel pentolone…”
La polenta ci parla di un mondo perduto, pieno di significato, di storia e di piccole storie del passato e del presente. Un mondo pieno di sapere.

Maria Francesca Magni

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