All’Unitre Valsassina il 9 ottobre 2024 la professoressa Teresa Cassani ha presentato, con reverenziale professionalità, una profonda riflessione sulla guerra citando e letto alcune poesie di grandi autori del ‘900. Lo studioso Elio Spada, con meticolosa precisione e dovizia di particolari, ha illustrato il percorso della parola in rima che descrive la brutalità della guerra sin dagli albori della civiltà.
Il presidente dell’Unitre Valsassina Enrico Baroncelli ha introdotto l’intervento sostenendo che la guerra è un furto sociale, chi la vuole intende barare, con pseudo moralismo giustificativo, per accaparrarsi risorse e territori strategici. La guerra, metaforicamente, si decide in un grande casinò, dove i croupier disonesti girano la ruota della roulette nera e rossa stabilendo insieme dove far cadere la pallina. Quando si innesca una guerra vuol dire che la politica ha fallito. E l’Italia ne conosce bene il significato essendo stata protagonista, con l’alleata Germania, della seconda guerra mondiale mentre sul patrio suolo se ne innescava un’altra fratricida: fratello contro fratello, una guerra nella guerra… E come diceva Bertold Brecht: “La guerra che verrà, non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame ugualmente la povera gente”.
La guerra è male allo stato puro, è l’enormità della ferocia e della crudeltà del male che sfigura la faccia dell’umanità.
Papa Francesco, in questo mondo in guerra, è una voce nel deserto, nessuno ascolta il suo grido di amore e di pace. Perchè non ci si domanda: cosa spinse il figlio di Dio a scendere in terra?
In questi giorni lombardi così cupi e carichi di cieli grigi che finiscono nelle pozze della pioggia, all’Unitre Valsassina, gli studenti dai capelli bianchi, cercano di capire, di contribuire a sussurrare il disvalore della guerra, dell’odio e della violenza.
Elio Spada srotola il filo storico della parola parlata e scritta della poesia bellica. Parla dei Sumeri, della storia di Gilgamesh re di Uruk scritta su 12 tavolette di argilla, forse la più antica epopea sulla condizione umana in cui vita e morte si intrecciano rimarcando la debolezza dell’uomo sempre in guerra con se stesso alla ricerca dell’impossibile: l’immortalità. Passando poi ai grandi eroi decantati da Omero nelle guerre fra gli dei e i mortali, sottolineando però che gli dei non muoiono gli uomini sì, dannandosi. Lo studioso prosegue il suo discorso temporale fino alle leggende celtiche che descrivono lo scontro perenne tra pagani e cristiani. Continua per poi citare Torquato Tasso e la sua “Gerusalemme liberata”. Infine ricorda Giacomo Leopardi, antesignano nel suo diario “Lo Zibaldone” della guerra delle macchine o con le macchine che si combatte oggi. Arrivando ad Alessandro Manzoni: “…Vengono, son trenta, son quaranta…son diavoli, sono ariani…hanno saccheggiato Cortenuova, han dato fuoco a Primaluna, devastano Introbio, Pasturo, Barsio, sono arrivati a Balabbio…un correre, un fermarsi…un consultare…un’esitazione tra il fuggire e il restare…come fare? Dove andare?” Promessi Sposi, cap. XXIX.
La professoressa Teresa Cassani sottolinea che il motivo dell’incontro che, oltre alla conoscenza, deve mirare a risvegliare una partecipazione riflessiva sul lutto di tante persone morte in questo quadro di guerra contemporaneo. Insiste sul concetto di guerra come nemica della verità. Fratellanza, solidarietà, amore verso l’altro accomunano i pensieri poetici di Giuseppe Ungaretti e Clemente Rebora, entrambi soldati sul Carso durante la prima guerra mondiale. Ungaretti in trincea si accorse che la guerra reale era diversa dalla propaganda futurista, per questo affinò un linguaggio nuovo con enunciati fulminei che descrivono il groviglio delle sensazioni provate. Le parole producono scintille ermetiche, si delinea il rifiuto della musicalità della lirica perché lì, nei camminamenti sporchi di fango, bisogna comunicare in fretta. La vita del soldato è precaria, si sentono spari, si vede morire, non si prova né fame né sete, come foglie ormai avvizzite si può cadere a terra da un momento all’altro: “Si sta come, d’autunno, sugli alberi, le foglie” poesia “Soldati”. Teresa Cassani elenca altre poesie di Ungaretti: “Il porto sepolto” dove il poeta è come un palombaro che si inabissa nelle profondità del mare per portare a galla la verità; “San Martino sul Carso” che evidenzia l’empatia per chi soffre tra le macerie, “Pellegrinaggio” in cui si intravede ancora una speranza per l’uomo immerso nella pena attraverso un punto di luce nella nebbia sul mare.
Clemente Rebora, poeta sacerdote, scrisse “Viatico”. Come un fotografo immortala l’immagine di un soldato
mutilato in agonia: “…tra melma e sangue, tronco senza gambe, e il tuo lamento ancora, pietà di noi rimasti, a rantolarci e non ha fine l’ora, affretta l’agonia, tu puoi finire, e conforto ti sia, nella demenza che non sa impazzire, mentre sosta il momento, il sonno sul cervello, lasciaci in silenzio. Grazie fratello”. Viene descritto l’orrore nell’orrore.
La professoressa descrive poi la poesia sulla seconda guerra mondiale di Salvatore Quasimodo che evoca i bombardamenti su Milano, centro dell’industria bellica del nord Italia. “Invano cerchi tra la polvere, povera mano, la città è morta. E’ morta…non toccate i morti, così rossi, così gonfi, lasciateli nella terra delle loro case…” Milano, Agosto 1943. “… sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo…t’ho visto dentro al carro di fuoco…t’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo…” poesia “Uomo del mio tempo” in cui sgomento e disperazione riconoscono ancora l’uomo della guerra.
Teresa Cassani termina con la poesia di Dario Bellezza, il poeta dannato nato nel 1944, amico di Pasolini e morto di aids, considerato uno tra i migliori poeti del ‘900. “Se viene la guerra, non partirò soldato, ma di nuovo gli usati treni, porteranno i giovani soldati, lontano a morire dalle madri. Se viene la guerra, non partirò soldato, sarò traditore, della vana patria, mi farò fucilare, come disertore, mia nonna da ragazzino, mi raccontava: tu non eri ancora nato…io già pensavo dentro il rifugio osceno…alle favole che avrebbero portato il sonno a te, che, Dio non voglia! Non veda più guerre.”.
Maria Francesca Magni