La favola bella di Gabriele D’Annunzio

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Nella saletta delle conferenze della Comunità Montana della Valsassina, Val d’Esino, Valvarrore e Riviera mercoledì 11 Dicembre 2024 il prof. Enrico Baroncelli Presidente dell’Unitre Valsassina, e la prof.ssa Elena Dell’Oro hanno tenuto una conferenza sul poeta esteta Gabriele D’Annunzio.
“…e piove…sulla favola bella che ieri m’illuse…”: è la rima finale della poesia ‘La pioggia nel pineto”.

L’illusione di D’Annunzio per l’eterna bellezza, la gloria, il lusso, l’esaltazione dell’eroe, l’amore smisurato per se stesso, non gli permise di camminare coi piedi per terra e lo condusse alla crudele delusione finale del ‘tutto passa e tutto va’ in una suadente melodia decadente. Soprattutto quando si accorse che l’amico-nemico Benito Mussolini con uno stratagemma, prestandosi a pagare i suoi debiti, lo relegò malato e nella solitudine al Vittoriale, sul lago di Garda, a vagabondare vestito del solo pigiama nella penombra.

Con le finestre oscurate da tendaggi pesanti D’Annunzio voleva nascondeva il suo corpo grinzoso, scarnito dal vizio, alla vista del mondo. Il musicista Mascagni andò a visitare D’Annunzio al Vittoriale con la figlia. Il poeta voleva dare un bacio sulla guancia paffuta della ragazzina all’atto del congedo, ma la bambina scappò piangendo: un tanfo putrido usciva dalla bocca di D’Annunzio, privo di denti per l’enorme quantità di oppio e cocaina assunti durante la sua ascesa.

Il poeta si stupì, ma guardandosi allo specchio comprese che la vita ardita stava scivolando via. Pare anche che il duce abbia attentato alla vita del Vate col ‘volo dell’arcangelo’ per mezzo di camicie nere medagliate, si presume abbia organizzato di gettarlo dalla finestra…Certo, il vecchio D’Annunzio ultimamente si opponeva al pugno duro, peraltro senza aver mai avuto la tessera del partito fascista, e adesso era più che altro una sanguisuga da sopportare e da mantenere purtroppo…ma non fu possibile per i gerarchi agire diversamente, sarebbe stato controproducente al regime data la popolarità internazionale raggiunta dal poeta. Quando comunicarono al dittatore italiano la morte di D’Annunzio, sembra che questi abbia sussurrato: “Finalmente”!

Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara da famiglia benestante il 12 marzo 1863, terzo di 5 figli. Morì nel villone chiamato Vittoriale a Gardone Riviera il 1 marzo 1938. Venne soprannominato il Vate perché considerato un profeta: il poeta che entrava nelle menti del popolo e ne influenzava il pensiero. Si sostiene che la sua arte, spiega Baroncelli, tagliò il nastro della cultura di massa in Italia. “Mio padre” aggiunge il professore, “ha frequentato lo stesso liceo di D’Annunzio”.

Il padre del Vate si chiamava Francesco Rapagnetta D’Annunzio, perché il cognome originale del nonno di Gabriele era Rapagnetta, ma uno zio acquisito che non aveva avuto figli lasciò la sua eredità ai Rapagnetta e nel 1851 venne aggiunto legalmente anche il cognome d’adozione D’Annunzio. Rapagnetta si perse, e non venne più trascritto.
Il poeta visse una giovinezza spensierata e felice. Frequentò il liceo classico presso il prestigioso convitto Cicognini di Prato e da adolescente si cimentò con versi e sonetti. A 16 anni scrisse la la sua prima opera ‘Primo vere’, pubblicata dal padre, che ebbe subito un grande successo attraverso un recensione su: ‘La fanfulla della domenica’. Si inscrisse alla facoltà di Lettere a Roma, non portò a termine gli studi, ma gli venne conferita la laurea in lettere honoris causa.

Nel 1924 Vittorio Emanuele III gli conferì il titolo di Principe di Montenevoso.
Dal 1881 al 1891 frequentò i salotti mondani di Roma, capitale del Regno d’Italia dal 1861. L’ambiente culturale romano era chiuso agli stimoli intellettuali che arrivavano dalle periferie e dalle province, Roma faticava a comprendere la novità ‘barbarica’. D’Annunzio con grande maestria raffinata, riuscì a scavalcare la cortina di insofferenza e di dubbi che si opponevano tra la città eterna e…tutto il resto con eleganti resoconti giornalistici. Scrisse per ‘La Tribuna’, giornale della sinistra storica fondato da Alfredo Baccarini e Giuseppe Zanardelli. Nel 1883 si sposò con Maria Hardouin, duchessa di Gallese, dal matrimonio nacquero 3 figli. Ben presto il Vate si separò dalla moglie a causa delle sue continue relazioni extraconiugali. Ebbe tante amanti, come ninnoli da trastullare, una tra tutte fu Eleonora Duse, l’Ermione. ma non amò mai nessuna perché il poeta era innamorato dell’amore sublimato, aulico: si stancava facilmente di una donna, e con galante eleganza ne coinvolgeva subito un’altra, amava il gioco della seduzione.

Il successo letterario di D’Annunzio arrivò con la pubblicazione del romanzo ‘Il piacere’, pubblicato a Milano dall’editore Treves nel 1889. Il romanzo è un’analisi introspettiva che si contrappone al positivismo e al naturalismo, sostiene Enrico Baroncelli. In pratica D’Annunzio inventò uno stile personale appariscente da grande divo, immaginario, che il popolino accolse perché bisognoso di sogni e desideroso di vivere un’altra vita: fu l’inizio della cultura di massa. Successivamente D’Annunzio visse a Napoli per 2 anni, pubblicò ‘L’innocente’, ‘Il trionfo della morte’, e le liriche del Poema paradisiaco. Sembrano le narrazioni delle tragedie di opere liriche. Studiò Friedrich Nietzsche che lo portò a scrivere ‘Le vergini delle rocce’ nel 1895, dove l’arte è per una diversa aristocrazia, e l’elemento costitutivo del vivere è la suprema affermazione dell’individuo…

Enrico Caruso e in tempi più recenti Luciano Pavarotti, cantarono una romanza napoletana scritta e pubblicata da D’Annunzio nel 1907 titolata: “A vucchella” musicata da Paolo Francesco Tosti.
La genialità di Gabriele D’Annunzio spaziava in tutti i campi dell’arte. Il capolavoro poetico dannunzinano è riconosciuto nella raccolta ‘Alcyone’. Si trasferì a Firenze e vi rimase fino al 1904 quando pubblicò il romanzo ‘Il fuoco’ e lasciò l’attrice Duse per vivere un’altra relazione, poi tornò in Abruzzo e successivamente in Grecia.

Nel 1897, specifica il prof. Baroncelli, fu eletto deputato della Destra storica, ma nel 1900 passò nelle file della Sinistra storica per protestare contro Luigi Pelloux e le leggi liberticide, e contro la repressione violenta dei moti di Milano da parte del generale Fiorenzo Bava Beccaris. Fino al 1906 fu molto vicino al Partito socialista italiano.

Nel 1901 il Vate inaugurò con Ettore Ferrari l’Università Popolare di Milano. Fu Ferrari a introdurre D’Annunzio nella massoneria col 33° grado del Rito scozzese antico. Qui conobbe molti fiumani massoni come Alceste De Ambris, Sante Ceccherini, Marco Egidio Allegri. I simboli della bandiera della Reggenza del Carnaro conteneva diversi simboli massonici: l’uroboro e le 7 stelle dell’Orsa Maggiore.

Teodoro Mayer nel 1902 accolse D’Annunzio a Trieste, allora sotto il dominio austro-ungarico e Attilio Hortis gli porse il saluto della città. D’Annunzio venne acclamato non solo a Trieste, ma in tutte le città istriane accompagnato dal ‘delirio del popolo’ con fiori lanciati dalle finestre in suo onore.
Nel 1910, prosegue il prof. Baroncelli, il poeta si trasferì in Francia, forse a seguito degli ingenti debiti contratti per mantenere il suo dissipato stile di vita. Qui conobbe Marinetti, Debussy e Mascagni, si mantenne componendo libretti d’opera. Aderì all’Associazione Nazionalista Italiana.

Omaggiò la guerra italo-turca, seppur da lontano, con articoli sul Corriere della Sera e inneggiò una politica di forza in contrapposizione con “l’italietta meschina e pacifista”. Nel 1914 rifiutò di diventare membro Accademico della Crusca disdegnando le università e manifestando pubblicamente il suo disprezzando verso la scuola. Nel 1915 tornò in Italia e fomentò una propaganda interventista plaudendo al mito della Roma imperiale e citando il Risorgimento e Garibaldi a modello. Il 5 Maggio 1915 D’Annunzio fece un discorso a Quarto per l’inaugurazione del monumento ai Mille incitando il popolo a manifestare in favore della guerra interventista, insorsero manifestazioni che diedero inizio alle ‘radiose giornate di maggio’. Con lo scoppio della guerra Austria-Ungheria il Vate, ormai 52enne, si arruolò come volontario nei Lancieri di Novara. Il suo compito era prevalentemente propagandistico. Ottenne il brevetto di Osservatore d’aereo e nell’agosto del 1915 sorvolò Trieste, lanciando manifesti propagandistici, e poi Trento. Nel 1916 si ferì ad un occhio in un atterraggio d’emergenza e perse la vista.

Da convalescente compose ‘Il Notturno’ pubblicato nel 1921 che ripercorreva i suoi ricordi di guerra. Nel gennaio del 1917 venne insignito della Croix de guerre dal governo francese per la partecipazione al feroce scontro nella decima battaglia dell’Isonzo. E nell’estate del 1917, con i piloti Maurizio Pagliano e Luigi Gori, compì 3 raid notturni su Pola, voleva effettuare anche un raid su Vienna, ma gli fu negato dal governo italiano. Portò a termine altre imprese eclatanti anche via mare. Nel 1918 volò su Vienna con l’87° Squadriglia Aeroplani Serenissima e lanciò migliaia di manifesti che auspicavano la fine delle ostilità. La risonanza di tale azione esibizionistica rimbombò tra i punti cardinali, perfino il nemico dovette ammetterne il valore. A fine guerra si congedò col grado di tenente colonnello e il titolo onorario di generale di brigata aerea, oltre alla medaglia d’oro al valor militare.

Dopo la guerra D’Annunzio raccolse il malcontento del popolo che condusse al potere Benito Mussolini. Nel 1919 Il Vate si alleò con un gruppo paramilitare e occupò Fiume, la città che gli alleati rifiutarono di dare all’Italia. Divenne comandante delle Forze armate fiumane e varò la Carta del Carnaro, una costituzione provvisoria redatta da Alceste Ambris che prevedeva diverse libertà tra cui l’uso della droga, il suffragio universale, la funzione sociale della proprietà privata, il corporativismo…e l’istituzione di una specie di dittatore romano con potestà senza appellazione.

Alcuni sostengono che D’Annunzio usò mezzi repressivi a Fiume, e pare sia stato l’ideatore dell’uso dell’olio di ricino come strumento di tortura e di punizione per i dissidenti, mezzo utilizzato in seguito dallo squadrismo fascista. Inventò la divisa fascista, il saluto romano, “eia eia alalà”: eia era il grido con cui Alessandro Magno incitava Bucefalo, il suo cavallo. Altre voci sostengono che il Vate volesse solo creare un governo d’emergenza. Il 12 novembre 1920 venne firmato il Trattato di Rapallo dall’Italia e dalla Jugoslavia che prevedeva Fiume una città libera. D’Annunzio non accettò il trattato, cosicchè si mise in contrasto con il governo italiano che dovette intervenire con la forza spargendo lacrime e sangue. Solo nel 1924 Fiume fu annessa all’Italia fascista.

Deluso, Gabriele D’Annunzio si ritirò a Gardone Riviera. Qui si impegnò a promuovere la costruzione della strada litoranea Gargnano-Riva del Garda oggi chiamata statale 45bis Gardesana Occidentale.
La prof.ssa Elena Dell’Oro specifica che, nonostante il vissuto confuso e discutibile, Gabriele D’Annunzio continua ad essere un personaggio attrattivo, prossimamente anche la RAI investirà nella realizzazione di un film. E sicuramente, dice la professoressa, D’Annunzio è stato uno scrittore che ha influenzato il costume sociale italiano, nonchè ispiratore del gusto e della moda, un uomo che ha saputo imporre il proprio sogno agli altri uomini.

Il poeta si prodigò nella difesa dei beni culturali. Nel 1902, quando il campanile di San Marco crollò, fu critico verso la borghesia, ritenuta responsabile del degrado delle opere d’arte e del decadimento culturale, essendo interessata solo a fare profitto. Temeva questa nuova classe dirigente che voleva tagliare col passato degli eroi e in cui predominava la moltitudine senza volto sulle individualità dei super uomini, forti e arguti.
D’Annunzio, prosegue Elena Dell’Oro, si pose a salvaguardia dei diritti d’autore, considerando che all’epoca gli autori erano considerati dei semplici prestatori d’opera, quindi poco considerati. Nel 1882 nacque la SIAE, Società Italiana degli Autori ed Editori fondata da Marco Prada. Il primo processo per violazione del diritto d’autore fu proprio per citazione di Gabriele D’Annunzio contro Edoardo Scarpetta, il padre naturale di Edoardo De Filippo, ritenuto responsabile di plagio. Vinse Scarpetta perché i giudici ritennero l’interpretazione dell’attore una parodia della commedia di D’Annunzio e non una contraffazione.

Il Vate fu estimatore anche dei dialetti, oltre alla canzone napoletana, scrisse almeno 1200 carteggi amorosi durante il suo periodo Veneziano dove alloggiò nella ‘casetta rossa’ sul Canal Grande, tutti in dialetto veneziano.
Nel corso degli anni nel nostro Paese i dialetti sono stati banditi in fatto, i governi si sono impegnati a nazionalizzare la lingua. Il dialetto è vissuto come un complesso, un’inferiorità culturale. L’italiano si è diffuso nel II dopoguerra con la televisione sulle parole di Cavour “dobbiamo fare l’Italia”. E’ anche vero che nessuno, parlando solo il proprio dialetto, comprendeva qualcun altro, e l’italiano ha permesso la comunicazione tra le varie Regioni.

Il poeta riuscì a influenzare la lingua italiana sia dal punto di vista del lessico che della sintassi. Molte le parole inventate da D’Annunzio: Vigili del Fuoco, velivolo, veicolo, il Piave e non la Piave…il nome Ornella. Giovanni Agnelli , il fondatore della FIAT, gli chiese se il termine automobile fosse femminile o maschile, il poeta non esitò a rispondere: femminile. D’Annunzio fu un esperto di comunicazione e lavorò come pubblicitario per propagandare i prodotti di diverse aziende italiane: Rinascente, Saiwa, Amaro Montenegro, considerato il liquore delle virtudi. Collaborò con Matilde Serao per la reclam della Premiata Pasticceria di Bologna. Inventò slogan per dentifrici…fu furbo nel capitalizzare questa sua abilità di tecnico della parola, ma…conclude la prof. Elena Dell’Oro, fu anche un abile poeta nella scelta di parole leggere, senza denti, che potevano essere adottate dai colti e dagli incolti.
Così bellezza e armonia si incontrano nella straordinaria esperienza emotiva che il Vate riesce a cogliere e a trasmettere in ciò che comunemente sfugge, come nella poesia “Sera fiesolana”: le dita rosa di un bambino giocano con l’aura che si perde…

MARIA FRANCESCA MAGNI

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